La storia del brigantaggio cilentano ha origini molto antiche. Il Cilento è stato sempre molto temuto dai sovrani borbonici, che già nel 1820 lo definivano “focolaio di tutte le rivolte” data la tenacia dei ribelli di mettere costantemente a repentaglio la stabilità dell’intera monarchia. Neanche la spietata repressione riuscì a cancellarne il ricordo, come testimoniano numerose lapidi commemorative in tanti centri storici cilentani.
I moti del Cilento del 1828 furono un tentativo di insurrezione, promosso nell'estate 1828 da parte di attivisti appartenenti a società segrete, che volevano ripristinate la Costituzione del 1820 nel Regno delle Due Sicilie. Questa costituzione era stata inizialmente proposta da Ferdinando I delle Due Sicilie, ma presto rinnegata per ristabilire il regime assolutistico.
Il moto fu promosso nel giugno 1828 dalla società segreta dei Filadelfi, guidata dal canonico Antonio Maria De Luca originario di Celle di Bulgheria. Avevano aderito alla sommossa elementi della Carboneria e perfino una banda di briganti, quella dei fratelli Capozzoli. Il tentativo fu soffocato nel sangue e De Luca per evitare che anche il suo paese fosse distrutto si costituì e fu fucilato a Salerno insieme agli altri condannati.
I briganti sopravvissuti tra cui la Banda Capozzoli fuggirono in Corsica. I fratelli ritornarono l’anno successivo, ma alcuni di loro furono fucilati a Palinuro e le loro teste furono portate in mostra nei paesi circostanti. Altri due fratelli presero parte ai moti cilentani del 1848: il primo morì in un conflitto a fuoco e il secondo fu condannato alla galera e liberato nel 1860 grazie a un vitalizio concesso dal Regno d’Italia di Vittorio Emanuele II.
I moti del Cilento del 1848 furono precursori della Spedizione dei Mille di Garibaldi. Essi presero sunto dai moti antiborbonici di Palermo e portati in Cilento a Castellabate, Pollica e Torchiara da Costabile Carducci, vicino alle idee carbonare. Dopo le prime vittorie iniziali riuscì ad ottenere la Costituzione, ma quando la monarchia borbonica sciolse il parlamento, Carducci fu costretto a fuggire a Roma.
Tentò di tornare nel Cilento ma naufragato vicino Maratea, fu fatto prigioniero e ucciso dai borbonici, che iniziarono una violenta repressione nel Cilento soffocando ogni tentativo patriottico risorgimentale fino allo sbarco di Carlo Pisacane a Sapri nel 1857.
I briganti non sono stati dei delinquenti comuni. Il brigantaggio post unitario è il risultato dell’invasione armata dei Savoia ai danni del Regno delle Due Sicilie, allora governato da Francesco II di Borbone.
Nel 1861 i briganti già depredavano il Cilento a causa della povertà, ma dopo l’occupazione piemontese furono la naturale risposta all’invasione piemontese: coscrizione obbligatoria, aumento dell’imposizione fiscale, tassazione sul macinato, trasferimento materiale di intere aziende industriali al nord, esclusivo affidamento dei lavori pubblici agli invasori, sostituzione della forte moneta duo siciliana con la povera banconota piemontese, unificazione del debito pubblico dello stato savoiardo in bancarotta con quello del Regno, espropriazione dei bene ecclesiastici e demaniali del sud, questi ultimi un tempo di coltivazione e gestione diretta da parte dei contadini del regno
Il brigantaggio fu una specie di guerra civile per contrastare i nuovi padroni. Il popolo infatti viveva la situazione come un’occupazione, con tanto di aumento di tasse e appropriazione delle terre un tempo assegnate ai contadini. le speranze di tante persone andarono deluse perché non si sentivano parte di quel processo di unità degli italiani.
Alcuni briganti delle rivolte del 1828 furono Antonio Galotti, Angelo Lerro, Nicola Gammarano, Giuseppe Ferrara, Domenico Antonio De Luca. Non solo uomini però, anche le donne si impegnarono nelle lotte, come la brigantessa Michelina De Cesare.
La Banda Capozzoli era una comitiva di cospiratori carbonari attiva dal 1817 e capeggiata dai fratelli Donato, Domenico e Patrizio, originari di Monteforte Cilento. Al nucleo principale si affiancarono Pasquale Russo e Francesco Ciardella, entrambi di Monteforte, seguiti da altri due fratelli Luigi e Gaetano nel 1848.
Oltre a loro si aggiunsero altre figure di passaggio che si univano occasionalmente per omicidi, furti in abitazioni, aggressioni di mercanti di passaggio nelle zone di Monteforte, Magliano Vetere e Capaccio. Furono attivi nei moti del 1828 e 1848
Giuseppe Tardio , Giuseppe Esposito di Centola e Pietro Lucido Rubano nel 1862 si misero a capo della banda che partecipò alla reazione borbonica. La banda fu sgominata a Caselle in Pittari.
Altri nomi di bande cilentane sono la banda Giardullo, la banda di Francesco Rizzo, la banda di Rosario Marmarosa, la banda di Nicola Masini, le bande Fortunato e Greco, le bande Cianciarullo e Marino, la banda Cappuccino e la banda Francolino.
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